I risconti passivi sono indispensabili per rappresentare in modo corretto i ricavi all’interno del bilancio d’esercizio. Servono, infatti, a spostare al periodo giusto gli importi incassati in anticipo, rispettando il principio di competenza. Scopri cos’è un risconto passivo, come si calcola e come registrarlo nel modo corretto.
Cos’è un risconto passivo: definizione e significato
Può capitare che un’azienda incassi in anticipo un ricavo per un servizio che sarà svolto nei mesi successivi. In questi casi, per rispettare il principio di competenza economica, bisogna registrare un risconto passivo: una scrittura contabile che sposta al prossimo esercizio la parte di ricavo non ancora maturata.
Secondo l’articolo 2423-bis del Codice Civile, infatti, ai fini del bilancio contano solamente i ricavi maturati e non quelli semplicemente incassati. I risconti passivi permettono, quindi, di presentare una situazione fedele e trasparente, evitando di sovrastimare l’utile.
Differenza tra ratei, risconti attivi e passivi
Per capire meglio i risconti passivi, è utile confrontarli con i risconti attivi, la loro controparte a livello contabile. Entrambe le scritture servono a rispettare il principio di competenza, ma si applicano in casi opposti: i risconti attivi si registrano quando un’azienda ha pagato in anticipo un costo che riguarda anche l’anno successivo, mentre i risconti passivi si registrano quando si incassa un ricavo anticipato legato a prestazioni future.
Nel bilancio, i risconti attivi sono inseriti tra le attività, perché rappresentano dei costi sostenuti in anticipo che genereranno dei benefici futuri. Al contrario, i risconti passivi si trovano tra le passività, in quanto indicano dei ricavi già incassati, ma legati a prestazioni ancora da svolgere.
Queste voci, inoltre, non sono da confondere con i ratei, che, invece, si riferiscono a costi o a ricavi maturati, ma non ancora pagati o incassati. I ratei guardano al futuro incasso o pagamento, mentre i risconti riguardano delle somme già movimentate, ma non ancora di competenza.
Esempio pratico di risconto passivo
Un esempio tipico di risconto passivo è la fatturazione anticipata di un abbonamento annuale. Supponiamo che il 1° ottobre un’azienda incassi 12.000 € per un servizio valido fino al 30 settembre dell’anno successivo. Al 31 dicembre sono stati erogati solo tre mesi, quindi solamente 3.000 € saranno di competenza dell’anno in corso. I restanti 9.000 € andranno, invece, rinviati all’anno seguente.
In contabilità a partita doppia, si registra, quindi, una scrittura di rettifica:
- in Dare, Abbonamento percepito in anticipo per 9.000 €
- in Avere, Risconti passivi per 9.000 €
Nel bilancio di esercizio, solo i 3.000 € di competenza saranno considerati ricavi. L’anno successivo, il risconto passivo verrà stornato e il ricavo registrato man mano che il servizio sarà erogato, rispettando così il principio di competenza.
Calcolo del risconto passivo
Il calcolo del risconto passivo è piuttosto semplice, ma richiede attenzione al tempo di competenza.
A tale scopo, si applica solitamente un criterio proporzionale, che tiene conto della durata della prestazione rispetto al periodo di competenza. Il calcolo può essere effettuato su base mensile o giornaliera.
Il metodo mensile è più semplice ed è adottato quando la prestazione copre dei periodi interi. Quello giornaliero, invece, è più accurato e viene spesso utilizzato se il contratto ha una durata irregolare o non coincide esattamente con i mesi del calendario, come nel caso di polizze assicurative.
Per evitare errori e semplificare i conteggi, molte aziende usano dei software gestionali che automatizzano il processo, partendo direttamente dai dati delle fatture. Tuttavia, anche un semplice file Excel, se ben impostato, può essere sufficiente nei casi più semplici, come per freelance o microimprese con un numero limitato di contratti.
Risconti passivi nel bilancio d’esercizio
Nel bilancio d’esercizio, i risconti passivi sono inseriti tra le passività correnti dello stato patrimoniale. Proprio perché l’azienda ha già ricevuto il pagamento, ma non ha ancora erogato la completa prestazione, quella somma viene trattata come un debito temporaneo verso il cliente.
Tale scrittura, quindi, serve a rappresentare correttamente i ricavi dell’anno in corso, evitando di gonfiare l’utile con importi non ancora maturati. Senza i risconti passivi, il bilancio rischierebbe, infatti, di restituire un’immagine distorta della performance aziendale.
La normativa prevede l’obbligo di indicare i criteri di calcolo all’interno della nota integrativa del bilancio. In particolare, l’articolo 2427 del Codice Civile richiede di specificare come sono stati determinati i risconti passivi e di segnalare eventuali cambiamenti rispetto all’anno precedente.
Anche le imprese che redigono il bilancio in forma abbreviata devono tener conto dei risconti passivi. In questi casi, però, possono essere inclusi in voci aggregate dello stato patrimoniale, senza doverli indicare in modo dettagliato.
Risconto passivo e gestione finanziaria
I risconti passivi non servono solo a sistemare i conti, ma incidono anche sulla gestione finanziaria. I ricavi incassati in anticipo portano della liquidità immediata, ma che non è del tutto disponibile: l’azienda, infatti, dovrà comunque sostenere dei costi futuri per erogare i servizi. Per questo, è importante considerarli nella pianificazione dei flussi di cassa, in modo da evitare squilibri nei periodi senza nuovi incassi.
Pur non essendo debiti finanziari, in alcune analisi i risconti passivi possono incidere sulla percezione della posizione finanziaria netta (PFN) (in quanto sono iscritti tra le passività correnti del bilancio). Se molto elevati, potrebbero far sembrare l’impresa più indebitata di quanto sia davvero, anche se si tratta di una passività temporanea di natura contabile, e non di un vero debito da rimborsare a terzi.
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