Da Roma a Singapore, passando per Bali. Ma anche da Milano a Hong Kong, lavorando online, sempre connessi, ovunque si sia nel mondo.

Da Roma a Singapore, passando per Bali. Ma anche da Milano a Hong Kong, lavorando online, sempre connessi, ovunque si sia nel mondo.

Stiamo parlando dei nomadi digitali, quelle persone che decidono di intraprendere uno stile di vita e di lavoro fuori dalla normale dinamica casa-ufficio. Li troviamo a lavorare da casa, dai bar, dalle biblioteche, dai coworking sempre e da qualsiasi altro luogo pubblico. Il loro identikit è chiaro: sono uomini e donne che scelgono di essere lavoratori indipendenti, mobili e sempre connessi. Il nomadismo digitale non si è fermato con la pandemia, ma ha solo ristretto il suo perimetro, ora che i viaggi aerei sono per lo più sconsigliati. Non solo, durante l’emergenza sanitaria milioni di persone hanno scoperto - e in molti casi apprezzato - lo smart working. La combinazione di questi due fattori conferma come il lavoro agile, che sia in Polinesia o in una piccola città italiana poco cambia, sarà un trend destinato a modificare a lungo il mercato del lavoro.

Come si legge nel Manifesto dei nomadi digitali italiani, per questa tipologia di lavoratori del XXI secolo,  “Le nuove tecnologie sono uno strumento per comunicare con il mondo, per diffondere le proprie  idee e il proprio lavoro, per raggiungere e trovare nuovi contatti e amici ovunque si trovino”.

Ecco, dunque, le 3 parole chiave da cui partire per capire appieno questo trend in salita, e magari innamorarsene: tecnologia, mondo, lavoro.

I nomadi digitali nel mondo: alcuni numeri per capire meglio questo trend

Il Global Remote Working Data & Statistics di Merchant Savvy diffuso a inizio anno ci restituisce una fotografia nitida e positiva sul “lavoro da remoto”, che rappresenta il concetto fondamentale alla base del nomadismo digitale: a partire dal 2005, questa filosofia di vita e lavoro è cresciuta di oltre il 150% in tutto il mondo, 11 volte di più rispetto al resto della forza lavoro.

Già nel 2018 l’agenzia newyorkese JWT Intelligence, nel suo report Future 100: 2018, aveva inserito il nomadismo  digitale tra i trend più forti e in crescita per i successivi 10 anni, poiché rinunciare a una carriera tradizionale (o abbandonare la propria) in cerca di una maggiore libertà professionale è una necessità sempre più diffusa.

A distanza di due anni da questo report, i dati incoraggianti del report vengono confermati anche da Intuit, una società americana di sviluppo software: negli Stati Uniti si stima che circa 7,5 milioni di americani svolgeranno lavori legati all’economia on – demand, quindi fluidi, flessibili e a intermittenza. Estendendo l’analisi a livello globale, si stima che nel 2035 questo universo arrivi a contare quasi un miliardo di individui.

Italiani popolo di smartworker e nomadi digitali da Nord a Sud?

Come abbiamo spiegato in un nostro precedente articolo, durante il lockdown gran parte dei lavoratori italiani, non operanti nel settore dei servizi essenziali, ha dovuto modificare repentinamente le proprie abitudini di lavoro. Le nostre case sono diventate i nostri uffici, e le riunioni e trasferte di lavoro si sono trasformate in videoconferenze.

Ora che stiamo vivendo la fase post-pandemica e ci ritroviamo a vivere quello che gli esperti definiscono da mesi il “new normal”, cosa pensano gli italiani delle modalità di lavoro “agili”?

Per rispondere a questa domanda, corrono in nostro aiuto i dati di una ricerca dell’Istituto Piepoli realizzata nel mese di maggio e tesa a indagare la sensibilità degli italiani su questa nuova modalità lavorativa.  Tre su quattro gli italiani che affermano di voler proseguire in modalità smart working anche in fase ripartenza, volontà affiancata, però, alla piena consapevolezza di dover ridisegnare gli ambienti privati e pubblici, trovando risposte pragmatiche alle nuove abitudini sorte in pandemia e ormai irrinunciabili.

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Con la maggior parte delle aziende che torneranno in ufficio non prima di settembre, stiamo anche assistendo a un vero e proprio “nomadismo digitale” sul territorio nazionale. Svuotate le grandi città come Milano, da cui in tanti sono scappati non appena sono state allentate le misure restrittive imposte dal lockdown, molti stanno scegliendo come luogo di lavoro per i prossimi mesi i borghi e le città in prossimità del mare o della montagna. Se è vero, come afferma NomadList, che sono cinque le caratteristiche fondamentali che un luogo deve avere per poter esercitare la sua forza attrattiva per i nomadi digitali (presenza di una buona connessione a internet; un costo relativamente basso; una buona qualità di vita media; una cultura interessante e viva da scoprire), allora l’Italia intera potrà sfruttare questo periodo “di prova” per tanti smart workers per rafforzare il suo posizionamento tra le comunità di nomadi digitali e divenire polo di attrazione per un capitale umano indipendente, culturalmente vivace e con una forte vocazione internazionale.

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