La figura del coltivatore diretto è centrale nel mondo agricolo italiano. Si tratta, infatti, di un soggetto che partecipa attivamente alla coltivazione dei terreni e può accedere a specifici vantaggi fiscali, previdenziali, oltre che burocratici. 

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In questa guida vedremo cos’è il coltivatore diretto, quali sono i requisiti per diventarlo, come funziona il rapporto con l’INPS e se è possibile esercitare l’attività senza Partita IVA o come secondo lavoro.

Coltivatore diretto: definizione e inquadramento

Il coltivatore diretto è una persona fisica che si dedica in modo continuativo e prevalente alla coltivazione della terra o all’allevamento di animali, svolgendo direttamente l’attività manuale, spesso con l’aiuto dei familiari conviventi.

Tale qualifica professionale è disciplinata dalla Legge 590/1965 e dal D.Lgs. 99/2004, che ne stabiliscono i requisiti minimi per il riconoscimento.

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Requisiti del coltivatore diretto

Può diventare coltivatore diretto chi si dedica in modo continuativo e prevalente alla coltivazione del fondo o all’allevamento di animali, svolgendo personalmente il lavoro manuale, eventualmente, con il supporto dei familiari. La legge richiede che il nucleo familiare copra almeno un terzo della forza lavoro necessaria all’impresa agricola, con un impegno minimo di 104 giornate lavorative all’anno (Legge 9 gennaio 1963, articolo 3).

L’attività deve essere la principale, sia in termini di tempo dedicato sia di reddito generato. Se si svolgono più attività, sarà considerata prevalente quella agricola solo se supera le altre per incidenza temporale e contributiva.

A questo scopo, è utile chiarire la differenza tra coltivatore diretto e imprenditore agricolo: il primo opera in autonomia, senza dipendere da terzi, ed è direttamente coinvolto nel lavoro quotidiano sul campo. Il secondo, invece, può gestire una struttura più organizzata, con dipendenti e funzioni manageriali, pur rimanendo attivo nel settore dell’agricoltura.

A differenza del bracciante agricolo, infine, il coltivatore diretto non lavora alle dipendenze di altri, ma conduce personalmente la propria impresa.

Come diventare coltivatore diretto?

Il primo passo per diventare coltivatore diretto è l’apertura di una Partita IVA agricola presso l’Agenzia delle Entrate, scegliendo il codice ATECO più adatto in base all’attività che si intende svolgere (coltivazione, allevamento, ecc.). A seguire, bisogna iscriversi all’INPS, nella gestione dedicata agli autonomi agricoli, selezionando la sezione riservata ai coltivatori diretti.

Se si prevede di superare i 7.000 euro di fatturato annuo, è necessario anche iscriversi al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio, oltre che all’INAIL per ottenere la copertura assicurativa contro gli infortuni.

Tra i documenti richiesti vi sono:

  • un documento d’identità
  • il codice fiscale
  • eventuali contratti di affitto o titoli di proprietà dei terreni
  • una dichiarazione rilasciata dal Comune che confermi l’effettivo svolgimento dell’attività agricola
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Coltivatore diretto senza partita IVA: è possibile?

Se si svolge l’attività agricola in modo saltuario, per autoconsumo o con vendite occasionali e ricavi molto limitati, non è obbligatorio aprire una Partita IVA. Questo perché il lavoro non è organizzato in forma abituale e continuativa né finalizzato a ottenere un reddito stabile.

Tuttavia, è importante sapere che se l’impegno nei campi o nell’allevamento supera le 104 giornate all’anno, scatta comunque l’obbligo di iscrizione alla gestione previdenziale INPS riservata ai coltivatori diretti, anche senza l’apertura della posizione presso il Fisco.

Chi si trova in questa situazione può valutare di affidarsi a un’associazione agricola che si occupa di gestire direttamente gli adempimenti contabili e burocratici. In questo modo anche chi non esercita l’agricoltura come attività principale può comunque operare in regola con minori oneri e rischi.

Coltivatore diretto come secondo lavoro

È possibile svolgere l’attività di coltivatore diretto anche avendo un altro lavoro, a patto che quella agricola resti comunque la più importante tra le occupazioni svolte. La legge stabilisce, infatti, che la mansione legata all’agricoltura debba essere quella prevalente, sia in termini di tempo dedicato sia per quanto riguarda il reddito prodotto.

Per questo motivo, chi si dedica solo saltuariamente alla coltivazione di piccoli appezzamenti nel tempo libero, senza che l’agricoltura rappresenti la sua attività principale, non può ottenere la qualifica di coltivatore diretto.

Se invece il lavoro agricolo occupa la parte maggiore del tempo lavorativo o rappresenta la fonte principale di reddito, allora è possibile mantenere anche un secondo impiego (ad esempio un part-time), purché rimanga appunto “secondario”.

Dal punto di vista previdenziale, va tenuto presente che in questi casi si può essere tenuti alla doppia contribuzione, ossia il versamento dei contributi sia per l’attività agricola che per l’impiego aggiuntivo. Per chiarire quale sia l’inquadramento più corretto e valutare i relativi costi, è sempre consigliabile rivolgersi all’INPS o a un consulente del lavoro.

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Quanto terreno serve per diventare coltivatore diretto?

Non esiste una superficie minima fissa valida in tutta Italia per essere riconosciuti come coltivatori diretti. Il terreno, però, deve garantire un’attività agricola tale da richiedere almeno 104 giornate lavorative annue, coinvolgendo il titolare e, se presente, il nucleo familiare.

La dimensione necessaria varia in base al tipo di coltura (seminativi, ortaggi, frutteti, vigneti, ecc.) e alla zona geografica. Ad esempio, la coltivazione di cereali richiede generalmente più superficie rispetto all’orticoltura intensiva.

Per ottenere la qualifica, è necessario dimostrare di avere effettivamente la disponibilità del terreno su cui si lavora. Questo significa che bisogna presentare all’INPS un documento attestante il proprio diritto sull’appezzamento: può trattarsi di un atto di proprietà, di un contratto d’affitto registrato oppure di un altro diritto, come l’usufrutto o l’enfiteusi. In alcuni casi, la relativa documentazione potrebbe essere richiesta anche dal Comune per ottenere l’attestazione necessaria.

Coltivatore diretto e iscrizione all’INPS

Il coltivatore diretto deve iscriversi alla gestione previdenziale agricola dell’INPS, dedicata a questa categoria, così come a coloni, mezzadri e imprenditori agricoli professionali. Questa iscrizione deve avvenire non appena si inizia l’attività, perché permette di accedere alle protezioni previdenziali e serve anche a dimostrare la regolarità del proprio impiego in caso di controlli.

Quando si presenta la richiesta, bisogna indicare che tipo di attività agricola si svolge, la dimensione dell’impresa e come si gestisce il terreno (se è di proprietà o in affitto).

Coltivatore diretto: contributi e agevolazioni

Chi è iscritto all’INPS come coltivatore diretto deve versare i contributi fissi annuali, calcolati in base al reddito e al numero dei componenti del nucleo familiare impegnati nell’attività. L’aliquota base è pari al 24%, a cui si sommano eventuali contributi aggiuntivi e il premio INAIL.

I pagamenti sono suddivisi in quattro rate, con scadenza 16 luglio, 16 settembre, 16 novembre e 16 gennaio. Se la data cade di sabato o di domenica, la scadenza slitta al lunedì successivo.

Vi sono, però, anche delle agevolazioni interessanti. Il coltivatore diretto, infatti, può accedere a regimi fiscali semplificati (come il forfettario agricolo) e ad agevolazioni per l’acquisto di terreni, per esempio quelle legate alla piccola proprietà contadina, che riduce drasticamente imposte e costi notarili.

Codice univoco e codice ATECO per coltivatore diretto

Chi esercita un’attività agricola con Partita IVA deve dotarsi di un codice univoco per i coltivatori diretti, indispensabile per ricevere correttamente le fatture elettroniche. Si tratta di un identificativo composto da 7 caratteri, rilasciato dal Sistema di Interscambio (SdI) e da comunicare ai propri fornitori.

Altro elemento fondamentale è la scelta del codice ATECO per il coltivatore diretto, che identifica il tipo di attività svolta. Degli esempi sono:

  • 01.11.00 - coltivazione di cereali, legumi da granella e semi oleosi, escluso il riso
  • 01.21.00 - coltivazione di uva
  • 01.46.00 - allevamento di suini

Scegliere il codice ATECO più adatto è fondamentale perché questo passaggio determina il corretto inquadramento fiscale e previdenziale, oltre a permettere l’accesso alle agevolazioni eventualmente previste dalle normative.

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